Quanto costerà davvero la casa green?
È la domanda che tutti si pongono dopo l’approvazione del Parlamento e dei ministri dei vari Paesi all’obbligo di riqualificazione degli immobili più energivori. Un problema vero. Ma non bisogna dimenticare anche quanto si può risparmiare con la casa green.
E se dopo gli agricoltori con i trattori scendessero in piazza i proprietari di immobili facendo tintinnare mazzi di chiavi? Non è un’ipotesi così peregrina. Perché la strada che porta alla sostenibilità può diventare insostenibile, oppure essere percepita come tale, da chi deve mettere mano al portafogli per imboccare una strada green.
Come nel caso della direttiva europea che spinge alla riqualificazione del patrimonio immobiliare, e che presenta queste due facce. Da una parte la necessaria riconversione degli edifici energivori in classe F e G, dall’altra la spesa che questo comporta.
Il conto salato del superbonus (circa 200 miliardi al momento), che in buona sostanza è foraggiato a debito dallo Stato, cioè con le tasse di tutti, è lì a ricordare quanto sia insostenibile una totale sovvenzione pubblica. E, anche se lo Stato in futuro potrà contribuire a una parte della spesa, come avviene ora con l’ecobonus 65%, il conto rimanente resterà a carico del proprietario dell’immobile. Ma c’è anche un altro lato (positivo) della medaglia.
Oneri e benfici
Ricapitoliamo: il Parlamento europeo ha approvato definitivamente l’accordo finale sulla Energy performance of buildings directive (Epbd) (370 i favorevoli, 199 contrari, il centro-destra italiano compatto sul no, e 46 astenuti) che, però, rischia di essere ricordata come una buona notizia per l’ambiente e una ardua prospettiva per i proprietari di immobili, anche se i diretti interessati hanno anni di tempo per affrontare l’onere.
Qualche settimana prima della riunione dei deputati a Strasburgo, d’altra parte, la commissione Industria del Parlamento europeo (Itre) aveva già votato a maggioranza a favore dell’accordo raggiunto nel corso del trilogo (l’organismo informale che comprende rappresentanti del Parlamento, della Commissione e del Consiglio europeo) sull’efficientamento energetico degli edifici, la cosiddetta direttiva sulle case green approvata giusto un anno fa, il 13 marzo del 2023.
Va ricordato che l’accordo raggiunto successivamente (vedi YouTrade di novembre 2023) è stato il frutto della lunga trattativa che è seguita alla votazione della direttiva in materia di riqualificazione. Trattativa che, infine ha ricevuto anche il via libera dai ministri europei al Consiglio Ue del 12 aprile, anche se c’è stato il voto contrario di Italia e Ungheria. Ora è la volta della pubblicazione del testo sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, per sancire, se tutto va bene, l’entrata in vigore della direttiva.
Gli obiettivi
L’obiettivo dell’accordo raggiunto è stato introdurre obblighi per la ristrutturazione degli immobili europei più sostenibili per l’ambiente, ma anche compatibili con una effettiva chance di realizzazione, rispetto a quanto votato nel marzo di un anno fa. Il testo è stato approvato prima, in gennaio, dalla commissione Industria, Ricerca e Energia del Parlamento europeo.
Già nel dicembre 2021 la Commissione Ue aveva indicato la riqualificazione degli edifici come una tappa indispensabile per la transizione green, perché in Europa, ma non solo, gli edifici sono responsabili di circa il 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di Co2.
L’obiettivo europeo è migliorare questa situazione. Il cammino prevede una prima tappa nel 2030, quando tutti i nuovi edifici residenziali costruiti dovranno essere a emissioni zero (e quelli pubblici già dal 2028).
La strada dovrebbe (in teoria) portare per il 2050 all’intero patrimonio edilizio europeo esistente a emissioni zero. Ma per recepire la direttiva saranno a disposizione due anni, e la maggioranza di governo in Italia ha fatto sapere che farà di tutto per evitare di attuarla.
I termini dell’accordo
Nei termini dell’accordo raggiunto, i Paesi membri per rispettare questo ambizioso traguardo dovrebbero definire, in autonomia, le tappe per la riduzione dei consumi del patrimonio edilizio residenziale adattandoli alle condizioni locali.
In sostanza, mentre il Parlamento europeo un anno fa aveva fissato dei paletti di classi da rispettare, ora saranno i diversi Paesi a fissare una curva di riduzione progressiva dei livelli di consumo del proprio parco immobiliare. Inoltre, non si ragionerà più per classi energetiche da migliorare, come era stato indicato a marzo 2023, ma per livelli medi di consumo.
Diciamolo: anche se mancano 25 anni al paradiso sostenibile delineato in Europa del 2050, il traguardo sembra oltremodo difficile, a maggior ragione se si considerano le nubi cupe che coprono lo scenario geopolitico. Intanto, però, bisognerà fare i conti con gli obiettivi intermedi di riduzione media dei consumi per gli immobili, fissati al 16% per il 2030 e del 20-22% al 2035. Nel mirino sono, ovviamente, gli edifici più energivori, quelli in classe F e G per semplificare.
I fondi necessari
Come arrivare a raggiungere l’obiettivo? I Paesi membri dovranno o potranno fornire i finanziamenti, bonus o misure di supporto per sostenere i piani di rinnovamento degli edifici. Dovranno fare uso dei fondi nazionali e di quelli europei già stanziati, come quelli del Pnrr, del Fondo sociale per il clima e dai Fondi di coesione.
Tutte queste linee di finanziamento dovranno essere distribuite in modo costante, così da raggiungere il famoso obiettivo delle zero emissioni entro il 2050. Questo piano, però, resterà sulla carta ancora per un bel po’: sarà un successivo atto delegato della Commissione, da approvare entro 12 mesi dall’entrata in vigore della Epbd, che si occuperà dell’aspetto dei finanziamenti. Sarà dunque la prossima Commissione, post-elezioni europee, a farsi carico dell’incombenza.
Insomma, c’è molto da definire: il testo del provvedimento chiarisce solo che sarà necessario introdurre aiuti per le famiglie più vulnerabili. Tradotto: un superbonus sotto una certa soglia di reddito. Ma come l’Italia possa ottemperare a questo obiettivo senza alzare ulteriormente il già mostruoso debito pubblico non è chiaro.
Una strada, però, ci sarebbe: è quella tracciata dal Pnrr. In sostanza, per raggiungere l’obiettivo Bruxelles potrebbe convincersi che vale la pena di emettere obbligazioni per finanziare la riconversione green del patrimonio immobiliare. Non è un obiettivo impossibile anche se, al momento, il fronte compatto dei Paesi del Nord Europa, è contraria, dato che significa in sostanza fare debito.
Che cosa cambia
Che cosa comporta la direttiva Epbd per l’Italia? In base all’accordo raggiunto, il nostro Paese dovrà ridurre il consumo medio di energia del proprio patrimonio residenziale, con un conteggio che parte dal 2020.
Tra un quarto di secolo, nel 2050, gli edifici abitativi dovranno essere quindi a zero emissioni mentre, come accennato, entro il 2030 la riduzione, come negli altri Stati europei, dovrà essere in media del 16% ed entro il 2035 del 20-22%. Si tratta, va ricordato ancora, di una media, perché non è più prevista una classe energetica minima da rispettare.
Quindi, a chi toccherà mettere mano al portafogli e applicare il cappotto? Dipenderà anche da quanti edifici nuovi si costruiranno. Perché il numero di abitazioni in classe A migliora la media generale degli immobili, anche se non basta perché, ammonisce il provvedimento, comunque almeno il 55% della riduzione del consumo di energia primaria deve essere raggiunto attraverso il rinnovo degli edifici più energivori.
In sostanza, in Italia questo significa che in base alle definizioni della direttiva sono da riqualificare il 43% di immobili, quelli meno efficienti. L’Istat stima in 12 milioni il numero di edifici residenziali e, secondo un calcolo approssimativo, gli edifici che entrano nel perimetro di quelli da riqualificare sono più o meno 5 milioni, condomini e villette comprese.
Il conteggio
Il primo scoglio, però, passa proprio dal calcolo approssimativo degli edifici energivori. Il problema è che molti, specialmente quelli unifamiliari, non dispongono di una pagella energetica.
La legge italiana, anche per l’opposizione delle associazioni di proprietari di immobili, ha previsto la determinazione della classe energetica solo in caso di vendita, nuova locazione, ristrutturazione integrale e nuova costruzione. E gli attestati di prestazione energetica (Ape) che vanno spediti all’Enea rimangono comunque validi per una decina di anni. Come giungere al calcolo dei 5 milioni, dunque?
Il calcolo
Al momento il database dell’ente pubblico conta in totale oltre 5 milioni attestati energetici di tutte le classi. Di questi, il 51,8% è relativo alle due classi energetiche incriminate, la F e la G. Insomma, almeno 2 milioni e mezzo di edifici sono ufficialmente da riqualificare ma, ovviamente, ci sono poi tutti gli altri non presenti nell’elenco Enea.
Per arrivare a una stima si può calcolare una statistica sulla base degli attestati rilasciati nel 2022 in occasione del trasferimento di un immobile che, appunto, è uno dei casi in cui è obbligatorio indicare una classe energetica.
Sempre secondo i dati Enea, il 63,6% delle case oggetto di rogito due anni fa era in classe F e G, mentre al 58,1% per le nuove locazioni. Di questi edifici, l’Istat calcola in 3,1 milioni quelli costruiti prima del 1945, tra cui 1,8 milioni edificati prima del 1918: per il 67% si trovano in classe F o G.
Tradotto in termini economici, una stima raccolta dal Sole 24Ore tra gli operatori di mercato ha indicato una spesa da 20 a 55 mila euro per famiglia. Sempre a spanne, si può dunque pensare che con una media di lavori di 30 mila euro per il mercato dell’edilizia il provvedimento europeo significhi lavori per circa 150 miliardi di euro.
Se, però, ci fossero degli incentivi, degli eurobonus, l’onere potrebbe essere sopportabile. Anche perché, comunque, bisogna tenere conto che un edificio meno energivoro si traduce anche in un concreto risparmio sulla spesa per riscaldare o raffrescare un’abitazione. C’è, insomma, un lato positivo, che si somma a quello di un minore inquinamento dell’atmosfera.
Le eccezioni
Bisogna tenere conto che, comunque, sono previste molte eccezioni: non tutti gli edifici energivori saranno costretti a una tosta riqualificazione. L’Epbd prevede che possano essere esentati gli immobili vincolati per motivi artistici, gli edifici religiosi, quelli temporanei, i fabbricati per l’agricoltura, le seconde case, ma solo se utilizzate meno di quattro mesi l’anno, gli edifici autonomi con una superficie inferiore ai 50 metri quadrati, gli immobili delle forze armate e con scopi di difesa.
Il caso caldaie
C’è, poi, il capitolo caldaie. La direttiva si occupa anche degli aspetti relativi all’abbandono dei combustibili fossili utilizzati per riscaldare gli edifici: una fregatura della quale dobbiamo ringraziare (si fa per dire) Vladimir Putin e la sua idea di cancellare l’Ucraina dal mappamondo. Lo choc ha indotto i Paesi europei a porsi come obiettivo quello di sganciarsi al più presto dalle forniture del gas russo. Per farla breve: le caldaie a gas metano delle abitazioni sono diventate il diavolo da scacciare.
La data entro la quale arrivare al bando completo delle caldaie a gas, in ogni caso, rispetto al 2035 fissato nella prima versione della proposta, è stata spostata al 2040. C’è più tempo. Inoltre, anche se gli incentivi fiscali per questi apparecchi saranno cancellati a partire dal 2025, è stato stabilito che sarà possibile offrire bonus per sistemi di riscaldamento ibridi, come quelli che combinano caldaie e pompe di calore.
L’industria del caldo ha tirato un sospiro di sollievo, ma rimane la spada di Damocle della data di fine produzione oltre a quella, ovviamente, gentilmente offerta dalla divisione del mondo in due, con le relative sanzioni commerciali.
Conclusioni
Dunque, l’Italia si prepara a riqualificare il patrimonio immobiliare? Difficile rispondere, perché rimangono parecchi interrogativi: che succederà, davvero, al termine delle scadenze previste dal provvedimento? Il governo italiano vorrà applicare la direttiva? Chi calcolerà la media di edifici migliorati, visto che sono milioni quelli senza attestato energetico? Quali incentivi possono essere messi in campo? La strada per edifici green rimane lunga. Un passo, però, è stato fatto.
di Giuseppe Rossi