Manutenzione, le responsabilità dell’amministratore di condominio
Sulla scorta della definizione, pressoché pacifica, per la quale l’amministratore condominiale rappresenta un ufficio di diritto privato assimilabile a quello del mandato con rappresentanza, possiamo individuare il contenuto di tale contratto, e le attribuzioni proprie del gestore dell’altrui patrimonio immobiliare, dall’esame del contenuto dell’articolo 1130 del Codice civile. In particolare, per quanto attiene al focus del presente approfondimento, dalla lettura del quarto comma, secondo il quale egli: «deve compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio». Ciò vuol dire che il rappresentante della compagine condominiale, senza bisogno di preventiva autorizzazione assembleare, ha il potere-dovere di intervenire con tempestività al fine di preservare e garantire l’integrità, la sicurezza e la salubrità degli impianti e degli spazi comuni. In questo senso, gli atti compiuti dall’amministratore sono vincolanti ed obbligatori per tutti i condòmini, ai sensi dell’articolo 1133 del Codice civile e contro tali provvedimenti è sempre ammesso il ricorso, oltre che all’assemblea, anche all’autorità giudiziaria, nei termini previsti dall’articolo 1137 del Codice civile.
Andare per gradi
Sulla scorta di tali considerazioni, è rilevante dare una risposta al seguente interrogativo: qual è il grado di diligenza che può essere richiesto all’amministratore, nell’espletamento delle attività preordinate alla conservazione delle parti comuni? In applicazione delle norme sul mandato al rapporto tra condòmini e amministratore, la diligenza che è legittimo attendersi da quest’ultimo nell’esecuzione dell’incarico conferitogli, non è qualificata, cioè implicante un particolare grado di perizia ma, piuttosto, quella del buon padre di famiglia, prevista dall’articolo 1710 del Codice civile.
Per tale forma di diligenza possiamo intendere quella ordinariamente richiesta all’uomo medio, accorto e consapevole delle proprie responsabilità, in relazione al problema concreto che deve, di volta in volta, affrontare e risolvere. Egli, secondo alcuni autori, deve «adempiere ai propri doveri con precisione, scrupolo e oculatezza» (Trattato sul Condominio, De Renzis, Ferrari, Nicoletti, Redivo, in Massimario Repertorio Lex 24). Peraltro, premesso che il mandato si presuppone a titolo oneroso, nelle ipotesi di gratuità dello stesso, la responsabilità per colpa deve essere valutata con minor rigore, come più volte ribadito dalla Suprema Corte (Cassazione Civile; Sentenza 14 luglio 2015 n. 14664; fonte: www.italgiure.giustizia.it). Non va, però, sottaciuta la circostanza per la quale, in virtù del vincolo giuridico richiamato, proprio la questione afferente alla diligenza richiesta all’amministratore nell’espletamento del suo mandato, e delle eventuali responsabilità conseguenti a ipotetici inadempimenti, è oggetto di acceso dibattito dottrinario.
Se c’è urgenza
Ad avviso di alcuni autori, dal combinato disposto degli articoli 1130 e 1135 del Codice civile, nei casi di urgenza quale, dato l’elevato grado di rischio (potenziale) connesso, potrebbe essere considerato l’adeguamento alle norme in tema di prevenzione antincendio, l’amministratore avrebbe il dovere di disporre in autonomia interventi di straordinaria manutenzione necessari a uniformare l’edificio condominiale al dettato normativo, indipendentemente dalla somma impegnata. (Responsabilità civile nelle liti di condominio, Lorenzini, Bologna, 2011). Secondo l’altrettanto autorevole opinione di segno contrario, invece, l’amministratore «non è responsabile se non provvede, purché, però, avvisi i condòmini, rientrando ciò nel suo dovere di conservare le cose comuni. Tuttavia, qualora l’amministratore, non abbia in alcun modo il tempo di convocare l’assemblea straordinaria per informarla di tale situazione di pericolo, egli deve prendere decisioni tempestive e immediate in tale senso che, talvolta, a seconda delle fattispecie concrete, possono essere provvisorie e contingenti» (Riscossione dei contributi per la gestione delle parti comuni, Celeste, in Immobili & Diritto, 2011).
Nel dubbio interpretativo, tuttora esistente, pare corretto e prudente aderire a quella tesi secondo la quale «deve comunque riconoscersi in capo all’amministratore, l’obbligo giuridico di attivarsi senza indugio per l’eliminazione delle situazioni potenzialmente idonee a cagionare la violazione della regola nemimen ledere ex art. 2043 c. c.» (Cass. Pen. 07 agosto 1995, n. 7764 in Le nuove responsabilità civili dell’amministratore di condominio. Risvolti pratici e aspetti sanzionatori, Nuzzo, Libricondominio).
Specializzazione
Quanto all’ipotesi in cui sia richiesta all’amministratore, per la natura dell’attività di custodia e vigilanza in concreto esercitata, la conoscenza di norme specialistiche, c’è da osservare che il medesimo non è esonerato da responsabilità per ignoranza delle norme tecniche e giuridiche che trovano applicazione nella materia condominiale. È la cosiddetta «diligentia quam in concreto». Ciò vuol dire che, in ipotesi che richiedono l’applicazione di normative settoriali specialistiche, il professionista dovrà essere in grado di realizzare proprio, e specificatamente, quegli interventi necessari per assicurare alla compagine condominiale il risultato voluto e atteso, in virtù dell’esatto adempimento dell’incarico conferito.
Prevenzione incendi
Evidenziati per sommi capi i compiti che, rispetto alla proprietà comune, sono riferibili alla figura dell’amministratore di condominio e il grado di diligenza che i condòmini hanno il diritto di pretendere dal proprio rappresentante, dobbiamo contestualizzare questi concetti alla luce dei recenti fatti di cronaca, legati all’incendio della Torre dei Mori di Milano, che hanno richiamato l’attenzione degli addetti ai lavori sul fenomeno della prevenzione antincendio in condominio.
Dal punto di vista prettamente civilistico, laddove si verifichi un incendio su parti comuni del fabbricato riconducibile alla negligente condotta dell’amministratore, il quale, anche solo colposamente, sia incorso nell’inadempimento del proprio mandato -per come evidenziato- non v’è dubbio che, lo stesso, possa essere chiamato a risarcire i danni cagionati a terzi, sulla base del disposto dell’articolo 2043 del Codice civile (articolo 2043: Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno).
Allo stesso modo, posto che il condominio nel suo complesso è custode della proprietà comune, ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile (Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito). In conseguenza di un ipotetico incendio riconducibile sia pure indirettamente a imprudenza, imperizia o negligenza dell’amministratore, derivi pregiudizio ad altri soggetti, i danneggiati potranno quindi agire in rivalsa nei confronti dei singoli condòmini. Resta salvo il diritto degli stessi, di agire giudizialmente, per il risarcimento dei danni subiti nei confronti dell’amministratore inadempiente, incauto mandatario.
Natura contrattuale
Accanto alle responsabilità di natura extracontrattuale che abbiamo evidenziato, sussiste, contestualmente, in dette ipotesi, una responsabilità di natura contrattuale derivante direttamente dall’inosservanza del contratto di mandato che lega l’amministratore ai propri amministrati. Giova, al riguardo, ricordare che il contenuto del mandato dell’amministratore condominiale è determinato dalla legge. Gli obblighi ai quali egli deve assolvere promanano, oltre che da eventuali norme e/o disposizioni speciali, dagli articoli 1129, 1130, 1131 e 1135 del Codice civile.
Naturalmente, come evidenziato da autorevole dottrina, tale impianto normativo, oltre a delimitare positivamente l’ambito d’azione del mandatario, regola «anche a contrariis, le responsabilità che gli derivano per l’inosservanza degli oneri e degli obblighi che allo stesso incombono» (La responsabilità civile nel condominio, Rezzonico, 2009, pagina 7 e seguenti). Da tanto, ricaviamo che, in esecuzione del contratto di mandato, l’amministratore non debba limitarsi a realizzare quanto espressamente stabilito per legge, ma debba estendere il proprio ambito di operatività anche agli preparatori e strumentali.
Responsabilità penali
Quanto alle responsabilità penali, in caso di incendio su parti comuni, il discorso è più articolato. Posto che il nostro codice penale non prevede un reato tipico ascrivibile alla figura dell’amministratore di condominio, si deve ragionare in relazione ai cosiddetti reati omissivi, e cioè, sulla base di quelle fattispecie criminose che si realizzano, attraverso una condotta negativa, mediante la violazione di una norma-comando. Norma cardine alla quale fare riferimento, è il secondo comma dell’articolo 40 del Codice penale (Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo). È il caso classico dell’amministratore che, per rimanere strettamente aderenti al tema oggetto del presente focus, non abbia provveduto all’adeguamento del fabbricato alle norme antincendio, omettendo, altresì, di compiere, con la dovuta diligenza, azioni di controllo, vigilanza e regolamentazione della condotta dei condòmini per evitare l’insorgere ed il propagarsi di un incendio.
La fattispecie è prevista e punita all’articolo 449 del Codice penale, I comma: «Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel secondo comma dell’articolo 423 bis cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. (…)» . Al riguardo, attenta dottrina ha, di recente, osservato che affinché in ipotesi simili sia configurabile una responsabilità penale diretta ascrivibile all’amministratore di condominio, è necessario che l’inerzia dello stesso abbia costituito, con elevato grado di probabilità, condizione necessaria ed essenziale per la causazione dell’evento lesivo.
«Quindi, se è vero che l’amministratore condominiale è titolare di un obbligo di garanzia relativo alla conservazione delle parti comuni dell’edificio, è pur vero che la condanna penale può azionarsi soltanto nel caso in cui venga accertato che la condotta omissiva dello stesso amministratore abbia rappresentato un presupposto indispensabile ai fini dell’evento lesivo. Ciò significa che l’amministratore non risponde penalmente dei danni se la sua inerzia non è stata determinante nell’incendio» (Rischio Incendio, responsabilità civili e penali dell’amministratore, Orefice, 2021; fonte: quotidianoilcondominio.ilsole24ore.com).
Gestione della sicurezza antincendio
Il decreto ministeriale 25 gennaio 2019 ha introdotto, nella materia della prevenzione antincendio il nuovo concetto di gestione della sicurezza antincendio come insieme delle misure, organizzative e gestionali, finalizzate all’esercizio dell’attività (antincendio) sia in fase ordinaria che in fase di emergenza: prevede la creazione di una struttura organizzativa con il compito specifico di prevedere ed adottare procedure antincendio, nonché la nuova figura del Responsabile dell’attività.
Infine, agli edifici, sulla base dell’altezza antincendio (altezza massima misurata dal livello inferiore dell’apertura più alta dell’ultimo piano abitabile e/o agibile, escluse quelle dei vani tecnici, al livello del piano esterno più basso, come definita dal decreto ministeriale 30.11.1983, poi modificato dal provvedsimento del 9.3.2007), si attribuiscono quattro livelli di prestazione, da quello di più semplice gestione (Livello prestazione 0, da 12 a 24 metri di altezza antincendio) a quello più impegnativo (Lp 3, oltre 80 metri di altezza antincendio). Dal punto di vista prettamente giuridico, la questione che occorre approfondire, riguarda la figura dell’amministratore il quale, di fatto, viene identificato nel soggetto che deve ricoprire, in automatico, il ruolo di Responsabile dell’attività.
Ora, se negli edifici classificati di livello Livello prestazione 0, ossia da 12 a 24 metri di altezza antincendio, le attività di gestione ricollegabili al responsabile non sono particolarmente gravose, esse aumentano via via che cresce l’altezza antincendio. Sulla scorta di quanto premesso, si può forse accettare senza eccessive preoccupazioni il ruolo di responsabile attività nelle ipotesi di fabbricati classificati Lp 0, il discorso si complica in maniera esponenziale per le restanti classi, rispetto alle quali non è affatto scontato che l’amministratore abbia le competenze tecniche specifiche per operare al meglio o, più semplicemente, non intenda farsene carico per questioni di responsabilità.
Il compenso
Posto che, in ogni caso, dovrebbe trattarsi di attività debitamente retribuita, a condizione di compenso analiticamente indicato e approvato in assemblea, per i fabbricati di altezza antincendio superiore a 24 metri, accanto al responsabile, il decreto ministeriale del 2019 prevede via via un’attività di gestione antincendio, la nomina di un Responsabile della Gestione sicurezza antincendio (Gsa), la nomina di un Coordinatore e quella di un Coordinatore dell’emergenza. Necessario, ovviamente, il passaggio in assemblea e la relativa indicazione/nomina dei soggetti richiamati che ben possono non coincidere con la persona dell’amministratore.
In tale ipotesi, al contenuto della delibera corrisponde un diverso grado di responsabilità dell’amministratore. Abbiamo, teoricamente, tre tipologie di delibere assembleari:
- Delibera aperta, con la quale l’assemblea da ampio mandato all’amministratore di scegliere il tecnico cui affidare i diversi compiti di volta in volta necessari secondo il dettato del decreto 25 gennaio 2019.
- Delibera parzialmente vincolante, con la quale l’assemblea individua il profilo professionale ritenuto confacente al caso concreto, senza individuarne il nominativo preciso che viene rimesso alla scelta discrezionale dell’amministratore.
- Delibera vincolante con la quale l’assemblea indica all’amministratore sia il profilo professionale che il nominativo, escludendo, in tal modo ogni potere decisionale del mandatario.
Come anticipato, a questi diversi tipi di delibera corrispondono diverse responsabilità in capo all’amministratore. In particolare, nel caso di delibera aperta o parzialmente vincolante, la scelta del professionista è quasi integralmente affidata al prudente apprezzamento dell’amministratore e sarà particolarmente ampia la responsabilità del medesimo qualora ricada su un soggetto che, palesemente, non abbia i requisiti professionali e tecnici necessari pe svolgere adeguatamente l’incarico affidatogli.
A tal fine, onde evitare di incorre nella cosiddetta culpa in eligendo (Cass. Civ. Sent. 6 agosto 2004, n. 15185; Cass. Civ. Sentenza 27 maggio 2011, n. 11757 e Cass. Civ. Sentenza 15 novembre 2013, n. 25758; fonte web: www.altalex.com), sarà opportuno, per il mandatario, effettuare dei veri e propri colloqui (cosiddetti audit) finalizzati alla selezione dei nominativi e all’affidamento degli incarichi esclusivamente a soggetti dotati di elevate ompetenze professionali.
Viceversa, nel caso di delibera vincolante, l’amministratore potrà operare con maggiore tranquillità, impiegando nell’esecuzione della delibera assembleare l’ordinaria diligenza che caratterizza il proprio mandato e dall’analisi della quale abbiamo preso le mosse in questa breve analisi.
Conclusioni
La complessità della materia trattata e l’elevato livello di specializzazione che il decreto ministeriale del 25 gennaio 2019, come altre norme di recente adozione (si pensi, per tutte, alle procedure per il superbonus 110%) richiedono al gestore dell’altrui proprietà immobiliare, rilanciano con forza alcune problematiche che, da tempo, paiono «soffocare» l’amministratore di condominio. Ci si riferisce, in particolare, alla necessità di orientarsi verso l’inquadramento dell’attività di amministratore nell’ambito delle professioni ordinistiche, alla questione di stabilire dei compensi, possibilmente entro limiti predeterminati, adeguati all’importanza del ruolo e alla necessità, insopprimibile, di investire sulla formazione e sull’aggiornamento di settore.
Avvocato Roberto Rizzo