Erogazioni idriche nocive per la salute, amministratori condominiali in acque agitate
La nuova normativa del febbraio scorso ha introdotto altre responsabilità per chi gestisce il condominio in materia di erogazioni idriche. Con il rischio di multe onerose per chi non si adegua.
Garantire la somministrazione agli utenti finali di acqua potabile immune da microrganismi, virus e parassiti potenzialmente nocivi per la salute ha, da sempre, rappresentato un obiettivo primario per il legislatore, tanto che la materia è stata oggetto di ben due interventi normativi importanti (l’uno del 2001, l’altro del 18 febbraio 2023, entrambi attuativi di direttive comunitarie).
Pur tendendo ambedue a garantire la medesima prioritaria finalità, ossia la salvaguardia dell’igiene e della salubrità dell’acqua somministrata per uso umano, le norme hanno affrontato la questione, con particolare riguardo alle forniture degli appartamenti in condominio, da prospettive sostanzialmente opposte, con implicazioni e conseguenze, in termini di responsabilità, del tutto divergenti.
Le nuove regole
In particolare l’ultimo, ossia il decreto legislativo n. 18 del 23 febbraio 2023, ha rappresentato una svolta in materia di erogazioni idriche, delegando all’amministratore professionista, come meglio vedremo a seguito di una lettura combinata dei complessi normativi che si sono succeduti nel tempo, nuove e importanti funzioni, anche in relazione alla valutazione, alla prevenzione ed alla gestione dei rischi per la salute dei condòmini-consumatori finali, che consigliano un approccio alla nuova disciplina particolarmente accorto e cauto.
Queste, in particolare, le linee guida che hanno ispirato il Decreto 18/2023 e che, in maniera ancora più marcata, se possibile, rispetto al passato, hanno recepito le istanze provenienti dalla Comunità europea, nell’ottica della tutela della salute umana come valore assoluto e prioritario:
- rivedere e introdurre norme intese a proteggere l’uomo dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo personale, garantendone salubrità e pulizia, anche attraverso una revisione dei parametri e dei valori di riferimento, aventi rilevanza sanitaria
- stabilire i requisiti minimi di igiene per i materiali che entrano in contatto con le acque potabili nonché per i reagenti chimici e i materiali filtranti impiegati nel loro trattamento
- creare un approccio valutativo e gestionale del rischio, maggiormente performante ai fini della prevenzione sanitaria, della protezione dell’ambiente e del controllo delle acque destinate al consumo umano, anche sotto il profilo dei costi e della allocazione delle risorse istituzionali
- migliorare l’accesso equo per tutti all’acqua potabile sicura
- assicurare la comunicazione tra le autorità competenti e i fornitori di acqua, dando un’informazione costante, adeguata e, soprattutto, aggiornata al pubblico sull’acqua che viene consumata ogni giorno nelle nostre case
Entriamo, dunque, nel merito dell’analisi e approfondiamo, relativamente alla scelta di indirizzo effettuata dal legislatore, come si è evoluto il ruolo riservato, nella gestione del servizio idrico, all’amministratore dell’era moderna.
La normativa preesistente
La disciplina in vigore sino al 21 marzo 2023 era incentrata sul decreto legislativo 31 del 2 febbraio 2001, attuativo della direttiva comunitaria 98/83, come modificato dal successivo decreto legislativo 27/2002.
Il vecchio dettato normativo aveva generato non poche perplessità negli interpreti posto che, in relazione agli immobili ubicati all’interno dei condomini, l’articolo 5, al comma 2, lasciava intendere che gli obblighi del gestore del servizio erogazioni idriche integrato potessero ritenersi adempiuti qualora i valori e i parametri di riferimento fissati dallo stesso decreto, al fine di certificare una buona qualità dell’acqua destinata al consumo umano, fossero stati rispettati sino al punto di consegna.
La distribuzione
In altre parole, secondo il dato testuale del citato secondo comma, sembrava che dal punto in cui l’impianto idrico comunale (posto sotto le cure del gestore del servizio) si collega con l’adduzione (di proprietà privata) che porta l’acqua all’interno delle abitazioni, ossia dai misuratori volumetrici (o contatori) in poi e sino al punto di utenza (rubinetto), la responsabilità di garantire la qualità dell’acqua, in termini di salubrità e purezza, dovesse ricadere nelle attribuzioni proprie dell’amministratore di condominio, quale custode della rete idrica in comproprietà tra i singoli partecipanti al condominio.
Questa situazione di sostanziale incertezza si è protratta sino a quando il ministero della Salute, con proprio parere motivato del 10 giugno 2004 ha definitivamente chiarito quale fosse l’interpretazione corretta della norma.
In particolare, secondo l’interpretazione autentica, l’onere di garantire il rispetto dei parametri qualitativi dell’acqua fissati per legge, doveva essere così ricalibrato e inteso: l’amministratore di condominio (o, in sua assenza, i singoli proprietari), una volta che l’acqua è stata rilasciata dal gestore al punto di consegna, non aveva l’obbligo di effettuare i controlli sulla qualità delle acque fino ai rubinetti, previsti dagli articoli 7 ed 8 del decreto in oggetto, bensì, unicamente, quello di controllare (e garantire, attraverso i necessari interventi) l’adeguato stato di manutenzione e di funzionamento dell’impianto, nell’adempimento dei suoi doveri di custodia, ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile.
Il controllo periodico della qualità dell’acqua erogata, opportuno certamente, ma non imposto dalla legge, restava, dunque, sotto la vigenza del decreto legislativo 31/2001 una buona prassi (e nulla più), alla quale gli amministratori avveduti si attenevano, comunque, regolarmente al fine di preservare la salute dei condòmini, rivolgendosi con cadenza regolare all’Asl di competenza per le analisi del caso.
Le nuove incombenze
La situazione è profondamente cambiata con il decreto legislativo 23 febbraio 2023 n. 18, attuativo della direttiva Ue 2020/2184, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 06.03.2023, in vigore dal 21 marzo successivo.
Con l’entrata in vigore del nuovo testo, viene abrogato il precedente decreto legislativo 31/2001 e la responsabilità della qualità dell’acqua per uso umano negli edifici in condominio, dal punto di consegna (come sopra definito) sino al punto d’uso (rubinetto privato), viene direttamente ed espressamente attribuita all’amministratore di condominio o, in via sussidiaria e solo in sua mancanza, ai singoli proprietari della rete idrica interna (condominiale).
In altre parole, la responsabilità del gestore idrico integrato si estende (solo) fino al punto di consegna, cioè il punto in cui la condotta di allacciamento idrico pubblica si collega all’impianto, o agli impianti, dell’utente finale (sistema di distribuzione interna), cioè in corrispondenza
del misuratore dei volumi (contatore).
Il decreto, infatti, sottolinea che gestore di erogazioni idriche e distribuzione idrica interna è l’amministratore di condominio, che viene perciò definito responsabile del sistema idro-potabile di distribuzione interno, ubicato fra il punto di consegna e il punto d’uso dell’acqua, ossia sino al punto materiale di fuoriuscita dell’acqua destinata al consumo umano.
Valutazione
Pertanto, non solo l’amministratore dovrà effettuare una valutazione e gestione del rischio dei sistemi di erogazioni idriche interni alle strutture (assicurando la qualità dell’acqua e prevenendone il deterioramento), quanto più dovrà adottare le necessarie misure (preventive) e correttive, proporzionate al rischio, per ripristinare la qualità delle acque nei casi in cui si evidenzi un rischio per la salute umana, derivante dall’insufficiente salubrità dell’acqua, oltre che da criticità strutturali.
Particolarmente onerose le sanzioni previste dal decreto, in quanto, a seconda della gravità dell’omissione contestata e accertata, le autorità sanitarie competenti territorialmente provvederanno ad irrogare al gestore della distribuzione idrica interna pene pecuniarie da un minimo di 4 mila a un massimo di 30 mila euro.
Formazione a supporto
A mitigare il peso dell’arduo compito affidato agli amministratori e gli oneri conseguenti, due sole norme:
a. l’articolo 5, comma 4, numero 2, lettera b), che impone all’autorità sanitaria locale competente, ed al gestore pubblico, l’obbligo di informare e consigliare il consumatore sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare, per adempiere al meglio agli obblighi previsti dal decreto
b. il comma 4 dell’articolo 9, che prevede uno specifico obbligo di formazione per gli idraulici e per gli altri professionisti che operano nei settori dei sistemi di distribuzione idrici interni, a cura delle Regioni (d’intesa con il ministero)
Attenzione, dunque, raddoppiata e massima allerta anche in questo settore, con l’ormai acquisita consapevolezza dell’assoluta incongruenza esistente tra la percezione sociale dell’importanza del ruolo degli amministratori professionisti, evidentemente non adeguatamente valorizzati, e la delicatezza delle funzioni proprie della figura.
Come già accadde in epoca pandemica, la gestione della salute (e non solo dei beni immobili) degli italiani viene (in maniera corretta?) delegata a un privato chiamato ad assumere su di sé, in prima persona, rischi che vanno ben al di là di quelli che, allo Stato, sono i contenuti propri del contratto assimilabile al mandato che lo lega ai propri clienti. È chiaro che c’è (più di) qualcosa da rivedere.
di Roberto Rizzo