Decreto Crescita e bonus casa, la protesta delle imprese
Le nuove modalità di cessione del credito d’imposta dei bonus casa non piace a una consistente fetta di imprese della filiera delle costruzioni. L’accusa è semplice: con questo meccanismo si fa un assist alle grandi imprese e si escludono le piccole.
Il decreto, infatti, consente ai proprietari di immobili di optare, invece dell’utilizzo diretto delle detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica e di adozione di misure antisismiche, per uno sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi.
Lo sconto così concesso ai condomìni dal fornitore, sostengono Cna, Confartigianato, Federcomated, Assocond e Harley Dikkinson, è rimborsato sotto forma di credito d’imposta da utilizzare esclusivamente in compensazione, in cinque quote annuali di pari importo. Questa nuova modalità, utilizzabile in alternativa a quella attuale che rimane comunque in vigore (cessione del credito al fornitore ed in ultima istanza ad altro soggetto collegato all’opera di riqualificazione), non prevede per l’impresa che effettua l’intervento di riqualificazione la possibilità di effettuare un’ulteriore cessione del credito a terzi.
Questa nuova modalità, sostengono ancora le imprese, non solo non semplifica l’utilizzo degli incentivi finalizzati alla riqualificazione energetica e statica dei condomìni (motivo ispiratore dell’articolo 10 del decreto Crescita), ma produce nei fatti una pesante concorrenza sleale a danno delle imprese della filiera delle costruzioni (per lo più piccole e medie) che operano in questo settore.
«Sul piano della semplificazione, rivolgendosi questi interventi agli edifici condominiali e dunque ai condomìni e al suo sistema di regole governato da apposite leggi e dal codice civile, il nuovo meccanismo di trasferimento degli incentivi non è in grado di semplificare alcunché poiché rimane vigente la facoltà dei singoli condòmini di decidere autonomamente se trasferire o meno l’incentivo corrispondente alla propria quota di proprietà», nota un comunicato congiunto delle associazioni. «Poiché è poco plausibile che un provvedimento di legge possa rendere cogente per tutti i condòmini la volontà espressa non all’unanimità di trasferire i crediti d’imposta al fornitore (e infatti il decreto non lo prevede), la complessità connessa alla gestione burocratica del trasferimento dei crediti di pertinenza dei singoli condòmini permane immutata. In assenza di tale semplificazione, far sorgere il credito direttamente in capo al fornitore anziché in seguito a una cessione risulta privo di effetti pratici. Sul piano della concorrenza nel settore, la nuova modalità produce una anomala concentrazione del mercato in mano a pochissimi soggetti che- oltretutto – non rappresentano affatto gli operatori economici che intervengono in maniera diretta negli interventi di riqualificazione degli edifici».
Infatti, è la tesi, se da una parte gli effetti del trasferimento del credito di imposta operato con le due modalità alternative sono gli stessi (il soggetto cedente si spoglia definitivamente del diritto di compensare l’incentivo con i propri debiti fiscali provvedendo con ciò al parziale pagamento del corrispettivo dei lavori, mentre il fornitore cessionario subentra nella piena titolarità del credito fiscale), esistono tuttavia due differenze rilevanti tra le due modalità: a) il vigente meccanismo di cessione prevede, oltre al trasferimento della titolarità del credito d’imposta dal soggetto avente diritto a un nuovo soggetto, anche la facoltà per quest’ultimo di cedere successivamente il credito a un altro soggetto. Il nuovo meccanismo previsto nel decreto legge non prevede questa facoltà. b) il fornitore che con il nuovo meccanismo di cui all’articolo 10 del decreto Crescita diviene titolare dei crediti d’imposta li utilizza in compensazione in cinque quote annuali di uguale importo, mentre con il previgente sistema la durata di fruizione dei crediti fiscali è la stessa riservata al cedente originario: cinque anni per il sismabonus, dieci per l’ecobonus e per gli interventi combinati energetici e sismici. La conseguenza combinata di queste differenze tra le due modalità (quella attualmente vigente e quella introdotta dall’articolo 10 del Decreto Crescita) fa capire chiaramente quali siano i soggetti che beneficeranno della novità legislativa: non saranno le imprese (edili, di installazione di impianti, o aventi attività integrata), che non possiedono la capienza fiscale sufficiente per assorbire i crediti fiscali trasferiti e che, per attivare un volume significativo di operazioni, necessitano obbligatoriamente di disporre della facoltà dell’ulteriore cessione, non prevista dal nuovo meccanismo; non saranno le Esco, per lo stesso motivo; ma potranno essere solo le maggiori utility (come Eni ed Enel) dotate di sufficiente capienza fiscale e operanti nel settore dell’energia. Questi ultimi soggetti saranno pertanto i soli a beneficiare del duplice effetto del provvedimento: la canalizzazione solo verso di essi delle attività promosse dal nuovo meccanismo e il minor costo finanziario connesso al periodo di compensazione fiscale dimezzato (per l’ecobonus e per gli interventi combinati). L’importante mercato della riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare ad uso residenziale sarà concentrato nelle mani di un oligopolio di Utilities, con il rischio di un cartello che per un verso detti le condizioni alle imprese della filiera e per altro verso limiti significativamente la libertà di scelta dei condòmini-consumatori finali. Questa anomalia della concorrenza deve e può essere risolta solo ponendo sullo stesso piano tutti gli operatori del mercato.
Un’altra annotazione critica rispetto alla nuova modalità introdotta dal decreto Crescita, conclude il documento, sulla specifica materia riguarda il punto laddove si precisa che la nuova opzione disponibile per i soggetti aventi diritto agli incentivi consiste nell’optare per un contributo, anticipato dal fornitore che ha effettuato l’intervento, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, di un ammontare pari alle detrazioni generate dall’attività realizzata. E’ evidente come tale formulazione sia in grado di generare nei confronti dei proprietari e dei condòmini la legittima aspettativa di poter ottenere uno sconto di importo pari al valore dell’incentivo e di dover sostenere esclusivamente la differenza non coperta dal medesimo. Tale aspettativa è illusoria e ingannevole nei confronti dei condomìni poiché è legittimo ritenere che la durata dell’anticipazione (5 anni) non può essere a costo zero per i condòmini. La stessa aspettativa è altresì in contrasto con la posizione dell’Agenzia delle entrate che, in merito alla detraibilità degli oneri finanziari, nega che possano essere inclusi tra le spese incentivate.