Come scottano i termosifoni
I condomini sono alle prese con la manutenzione e gli ultimi controlli in vista dell’inverno. Ma non bastano le norme in vigore a far diminuire i consumi di energia, che pesano sempre di più sul bilancio familiare
Dopo il caldo arriva il freddo. È naturale. Lo sono un po’ meno le modalità brusche con cui avviene il passaggio. Vittime del cambiamento climatico sono anche amministratori e manutentori. A loro il compito di adeguarsi al mutato clima e, soprattutto, quello di tenere a bada i condomini, che alternativamente si lamentano per il freddo eccessivo o per il caldo fuori misura prodotto dall’impianto di riscaldamento.
Una ragione in più per non tralasciare quello che è un obbligo, cioè la manutenzione e l’efficienza della caldaia e, più in generale, dell’impianto di riscaldamento, pena un maggiore (e inutile) consumo energetico.
Le regole
Le regole sono stabilite dal regolamento fissato nel Dpr n. 74 del 2013, focalizzato proprio sull’efficienza energetica dei sistemi di climatizzazione. Tra l’altro, le regole valgono non solo per gli impianti di riscaldamento centralizzati, ma anche per i singoli sistemi di chi ha scelto un impianto autonomo, anche nell’ambito condominiale.
Il regolamento prevede che per gli impianti domestici superiori ai 10 kW e inferiori a 100 kW di potenza a combustibile liquido o solido controlli ogni due anni. Mentre per gli impianti domestici dello stello livello, ma a gas metano o Gpl controlli ogni quattro anni.
Differenze
Questa la regola generale. Ma, in realtà, l’Italia delle autonomie si muove a macchia di leopardo. Le manutenzioni periodiche previste dal decreto sono in vigore solo se Regioni e Province autonome non hanno regolamenti propri. E Liguria, Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Puglia e Sicilia hanno già stabilito propri regolamenti da rispettare.
Quale senso ha che la sicurezza di un impianto sia valutato diversamente in Piemonte o Lombardia? È una domanda che va girata alla politica. Le variabili, per esempio, possono riguardare gli intervalli temporali e le modalità dei controlli, la frequenza sempre sotto i quattro anni suggerita dal produttore dell’impianto o dall’installatore.
Un altro aspetto che non va dimenticato riguarda le ispezioni di sicurezza stabilite (Dpr 412/93 e 59/1999, s.Lgs. 192/2005 e 311/2006) da Province e Comuni con più di 40 mila abitanti, con i quali il legislatore ha recepito la direttiva 2002/91/Ce relativa al rendimento energetico nell’edilizia, che ha introdotta nell’Unione Europea la certificazione energetica degli edifici.
I numeri
In ogni caso, gli impianti di casa devono essere in ordine a prescindere da leggi e norme: ne va della sicurezza di chi abita in condominio, oltre che del portafoglio delle famiglie. Anche se, sorprendentemente, c’è ancora una piccola quota di italiani che non ha riscaldamento, soprattutto nel Mezzogiorno (3,4%) e nelle isole (5,3%).
Secondo i dati dell’ultima Relazione sulla situazione energetica nazionale, curata dal ministero per l’Ambiente, in compenso, il 72,2% delle famiglie dispone di un impianto di riscaldamento di tipo autonomo, che per il 65,7% è anche il sistema prevalente (o unico). Un dato che sembra inusuale, se si considera il numero di italiani che vive in condominio dove, presumibilmente, l’impianto più diffuso dovrebbe essere centralizzato.
Al contrario, il rapporto sostiene che l’impianto centralizzato è presente solo per il 18,0% delle famiglie ed è usato come fonte unica o prevalente dal 17,1%. Forse, però, sono sistemi poco efficienti visto che il 48,1% dispone anche di apparecchi singoli (fissi o portatili), anche se lo utilizza come prevalente solo il 17,2%. La classica stufetta elettrica per i giorni freddi è un’abitudine che non si abbandona.
Il dato così basso sugli impianti centralizzati si comprende meglio se si considera la distribuzione geografica: nel Nordovest sono utilizzati dal 34,4% delle famiglie, mentre è solo il 14,9% al Centro, il 14,2% nel Nordest e la quota si riduce al 3,8% nel Mezzogiorno.
La spesa
La Relazione sulla situazione energetica tocca anche un tasto dolente: la spesa media annua delle famiglie per riscaldare e illuminare le abitazioni. Ma lo studio, sotto questo profilo, sembra inadeguato perché riporta dati del 2020, condizionati dal covid e, allo stesso tempo, precedenti la stangata in bolletta dello scorso anno, in parte ancora in vigore. In ogni caso, tre anni fa la spesa media annuale in consumi energetici delle famiglie per l’abitazione è risultata di 1.411 euro a famiglia, circa 118 euro al mese.
Va da sé che si tratta di un dato statistico non particolarmente significativo, come per i famosi polli di Trilussa: se qualcuno ne mangia due e qualcun altro no, in media ne hanno mangiato uno a testa, ma la soddisfazione sarà diversa. Insomma, il numero non tiene conto delle diverse situazioni di tipo climatico o di differente qualità dei consumi.
Più Nord che Sud
Sempre due anni fa, in ogni caso, la spesa complessiva delle famiglie per l’energia è ammontata a 36 miliardi di euro, più alta nel Nord (1.555 euro per famiglia nel Nordest, 1.533 nel Nordovest), media al Centro (1.385 euro) e decisamente più bassa al Sud e nelle Isole (1.257 euro e 1.145 euro, rispettivamente).
Altrettanto poco significativa la distribuzione del costo rispetto alla fonte, dato che negli ultimi due anni la situazione geopolitica ha influenzato in modo radicale il costo delle fonti energetiche come metano e petrolio. Vale forse la pena di citare che il gasolio ha la più alta spesa media effettiva (più di 1.000 euro l’anno), ma interessa solo il 2,8% delle famiglie.
Biomateriali
Nonostante il giudizio bivalente su legna e pellet, che sono risorse rinnovabili, ma sono anche considerate inquinanti, il loro uso è praticato soprattutto in alcune zone d’Italia. Il costo di legna e pellet è risultato rispettivamente di 573 e 528 euro in media per famiglia ed è sostenuto, rispettivamente, dal 10,5% e dal 7,3%. Nel 2020 il 17,0% delle famiglie ha usato legna da ardere e il 7,3% il pellet per l’uso domestico in impianti autonomi o apparecchi singoli, come caminetti e stufe.
E non solo al Nord, come si potrebbe supporre: la legna brucia di più nella Provincia autonoma di Trento (40,1%), ma anche in Umbria (39,1%), Calabria (32,3%), Sardegna (32,0%), Abruzzo, Molise e Basilicata (31,9%) e Bolzano (30,1%). Nel frattempo, però, anche questi materiali hanno subito un aumento di prezzo. La fonte più economica risulta il Gpl, presente in oltre una famiglia su cinque, con un esborso di soli 328 euro in media l’anno.
Conto salato
Per l’efficienza, in ogni caso, c’è molto da fare, anche se il settore residenziale lo scorso anno ha visto i consumi energetici diminuire del 10,3%. Ma non la bolletta. Le famiglie italiane hanno consumato il 2,7% in meno rispetto all’anno precedente ma, allo stesso tempo, la spesa è aumentata del 49,9% a causa dell’incremento dei costi all’ingrosso dell’energia. Una vera stangata: +165% per del gas naturale e +142% per l’elettricità.
La diminuzione dei consumi, quindi, è dovuta solo in minima parte a una migliore efficienza: è stata piuttosto la fiammata dei prezzi di gas ed elettricità che ha convinto famiglie e imprese a staccare la spina dai consumi superflui e, a volte, anche a quelli necessari.
Inoltre, il riscaldamento climatico, con un inverno particolarmente mite, ha contribuito a una minore necessità di climatizzare gli ambienti. L’effetto prezzi è immediatamente visibile quando si considerano i consumi nei trasporti, aumentati del 5,3%.
di Franco Saro