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Attenti al fuoco: le regole da seguire in condominio

Incendio in condominio

È un argomento che potremmo definire scottante, sia perché si avvicinano le scadenze per ottemperare al decreto ministeriale del 25 gennaio 2019, ma anche per gli ultimi eventi catastrofici a cui abbiamo assistito e, anzi, proprio a partire da questi, alcuni temi legati alla prevenzione incendi sono stati approcciati diversamente dal mondo scientifico internazionale, portando ad alcune variazioni normative e credo che altre ne arriveranno. D’altra parte, il mondo della prevenzione incendi negli ultimi anni ha assistito a un radicale cambiamento di rotta della normativa che cerco di riassumere a seguire, seppure partendo dal Decreto che va di moda in questo momento. Il decreto citato ha introdotto 4 livelli di prestazione, da LP0 (livello prevenzione zero) a LP3 in base all’altezza antincendio dell’edificio a cui si riferisce. Allora partiamo proprio dalla definizione di altezza antincendio, evidenziando subito che non si tratta di quella totale dell’edificio. Nello specifico, per la normativa antincendio l’altezza va dal calpestio del piano terra al livello più basso dell’accesso dell’ultimo piano agibile, esclusi i vani tecnici. In pratica, dal marciapiede alla soglia della finestra dell’ultimo piano. Sembra una finezza, ma in realtà questa definizione evita a molti edifici di risultare quale attività antincendio e quindi sottoposta al vaglio dei comandi dei vigili del fuoco.

Sicurezza anti incendio

Sicurezza anti incendio

Il responsabile

Fatta questa premessa torniamo al decreto. Preme sottolineare un aspetto paradossale: il fatto che sia stata emanato un decreto che obbliga il solito e sfortunato responsabile dell’attività (implicitamente coincidente con l’amministratore di condominio?) a dover applicare quanto previsto anche per una «non-attività» antincendio. Infatti, mentre per i livelli LP1-2-3, sono richieste una serie di prescrizioni-indicazioni, per edifici che in realtà sono già dotati di Scia antincendio, nel caso dell’LP0 si fanno richieste simili (chiaramente con un minore carico di prescrizioni) ma per edifici che non rappresentano una «attività antincendio» ai sensi del Dpr 151/11. Il quale aveva introdotto il concetto delle categorie delle attività (A-B-C) sulla base delle loro caratteristiche di pericolosità e di rischio e ha anche cambiato l’elenco delle attività soggette alla prevenzione incendi. Da ultimo, aveva iniziato il percorso che ha portato al pensionamento del vecchio Cpi (a vantaggio dell’attuale Scia antincendio), conclusosi poi nel luglio 2017 (decreto legislativo 139 del 8/3/2016).

Però la grande svolta nel mondo dell’antincendio, un vero cambio epocale, è avvenuto con il decreto ministeriale 3/08/15, che ha introdotto il cosiddetto codice di prevenzioni incendi, che ha cambiato profondamente il mondo della prevenzione, passando da un approccio di tipo prescrizionale a uno di tipo prestazionale, che chiude un quadro generale più ampio di grande coinvolgimento dei privati, quali attori principali dell’antincendio, già avviato con l’introduzione della Scia al posto del Cpi.

Autorizzazioni

Infatti, in termini generali, già con la Scia antincendio si è passati da un provvedimento amministrativo di tipo autorizzativo, rilasciato dai comandi provinciali dei vigili del fuoco con il rilascio del Cpi previa valutazione di un progetto, a un regime di controlli ex post, previa autodenuncia di una nuova attività fatta da parte del privato (il responsabile) assieme a un tecnico incaricato.

Questo cambiamento se, da una parte, rappresenta una grande agevolazione per chi apre una attvità in termini di tempo, dall’altra è diventata altamente responsabilizzante dal punto di vista del rischio antincendio, considerato che viene valutato e deciso direttamente dall’accoppiata responsabile dell’attività-tecnico incaricato e poi analizzato (ma solo ad attività avviata) dai vigili del fuoco, a differenza di quanto avveniva ai tempi del Cpi, quando le scelte venivano fatte adeguandosi alla normativa esistente di tipo prescrizionale.

Infatti attualmente, seppure entro i limiti imposti dalla norma, le scelte fatte in campo di prevenzione incendi, ricadono sul responsabile dell’attività e del suo tecnico di fiducia, liberando completamente dalla problematica della «valutazione del rischio antincendio» il legislatore. A questo quadro normativo generale, si è aggiunta una nuova cornice, sulla base di quanto previsto dal decreto ministeriale 25/01/19, che modifica l’allegato del decreto 246 del 16/5/87 relativo agli edifici per civile abitazione (da qui il nomignolo di norma dei condomini o norma delle facciate). Sempre nella direzione della maggiore responsabilizzazione del privato, questo decreto dice che il responsabile dell’attività (in un primo momento era scritto esplicitamente amministratore di condominio) deve identificare le misure standard da attuare in caso di incendio. O, ancora, di dover esporre un foglio informativo riportante i divieti e precauzioni da osservare e, quindi, fa diventare il responsabile dell’attività, l’attore principale indiscusso del film antincendio in condominio.

Gli ambiti

Mentre quando si parla degli occupanti del condominio ci si limita al fatto che debbano osservare e attuare le informazioni ricevute e, quindi, con un ruolo abbastanza passivo. I primi dubbi sono suggeriti dal fatto che l’amministratore, in realtà, è responsabile (per tutti gli altri aspetti legati al condominio) di quanto attiene le parti comuni. E, quindi, vano scala, ascensore, eccetera, per gli edifici e corsia di manovra e rampa per le autorimesse, ma che i suoi poteri si fermano, è proprio il caso di dire, sullo zerbino di accesso alle unità immobiliari private, di cui nella realtà non sa quasi nulla. Però diventa artefice della gestione della sicurezza antincendio per tutti.

Statisticamente la quasi totalità degli incendi condominiali trova il suo innesco nelle proprietà private e non negli spazi comuni. E, quindi, questa già rappresenta una prima anomalia. E, poi, fondamentalmente l’intero edificio o attività non è perfettamente nota all’amministratore che, invece, evidentemente dotato di super poteri, deve essere in grado di identificare ed elencare tutte le attività e le precauzioni necessarie in caso di incendio.

Purtroppo, questo approccio normativo discende dal fatto che sia stato accomunato il condominio e, quindi, l’edificio che lo costituisce, a una qualunque altra attività (scuole, alberghi, uffici, palestre) trascurando invece la grande particolarità della compagine condominiale media, caratterizzata da grande promiscuità e particolarità-complessità, in cui il responsabile dell’attività (l’amministratore) lo è in realtà solo di una minima parte dell’edificio e, paradossalmente, della parte più sicura dello stesso.

Condominio a Milano

Condominio a Milano

Le differenze

Volendo fare un paragone, proviamo a pensare al titolare di una attvità industriale o a un dirigente scolastico: loro, in primis, conoscono alla perfezione ogni recondito angolino dei propri edifici e possono pretendere dai propri «dipendenti» di avere determinati atteggiamenti e di attuare determinate procedure e soprattutto hanno la libertà di vietare quello che ritengono, assieme agli Rssp (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) o addetti alle emergenze, rischioso o pericoloso in termini antincendio. Possono usare lo strumento delle prove di esodo periodiche per abituare i dipendenti/utenti ai comportamenti e alle procedure da seguire in caso di incendi, responsabilizzandoli ed istruendoli, già a partire dai banchi di scuola, sui rischi rappresentati da una emergenza dovuta ad un incendio e, inoltre, le maggiore parte delle attività ha anche una squadra antincendio formata, che sa usare un estintore, che abbia nozioni di primo soccorso.

Ma tutto ciò che attinenza ha con la realtà condominiale? Andrebbe istituita una categoria o attività specifica che possa e debba tenere in conto la grande complessità e promiscuità del condominio medio. Sempre tornando agli aspetti legati alle responsabilità dell’amministratore in campo antincendio e di come si dovrebbero sempre conoscere le novità normative, una cosa è sfuggita a molti: l’elenco delle attività soggette a prevenzione incendi, ossia della introduzione dell’attività 73, formalmente corretta perché le situazioni che gestisce erano effettivamente meritevoli di attenzione, ma che è stata assolutamente quasi nascosta nell’elenco, tanto che molti neanche si rendono conto di farne parte. Meglio leggerlo, per valutare se per caso il vostro condominio possa rientrare. Perché trattando edifici caratterizzati da promiscuità, molti ci rientrano senza neanche saperlo. Ci possono essere dei casi limite in cui addirittura, seppure non si rientri in nessuna delle attività antincendio classiche (edificio, autorimessa, centrale termica), si potrebbe rientrare, dalla porta di sevizio, nell’attività 73 per il solo fatto che il piano terra ospita altre attività con determinate caratteristiche. O, ancora, nei casi dei comparti industriali o artigianali caratterizzati da promiscuità d’uso di alcuni spazi.

Responsabilità

Certamente ormai tutti sappiamo quante siano le responsabilità generali in capo all’amministratore di condominio, ma in caso di incendi il discorso è abbastanza complesso. Se, infatti, da una parte per i reati penali a carico dell’amministratore si deve dimostrare che la condotta omissiva o inerte, abbia realmente condicio sine qua non causato il danno (per esempio, se l’amministratore non ha messo completamente in regola il registro della manutenzione degli estintori non vuole dire che sia colpevole penalmente se l’incendio non ha previsto l’uso degli estintori o se la causa risiede in altra motivazione). Dall’altra, si deve ricordare il grande peso decisionale lasciato attualmente nelle mani del titolare dell’attività e del tecnico di cui ci si avvale, che diventano la parte attiva nel processo decisionale della prevenzione incendi con tutto quello che ne può chiaramente conseguire, considerando l’attuale approccio prestazionale e non prescrizionale. Infatti, attualmente il nocciolo della questione si basa sulla valutazione del rischio. E la stessa si basa su tre fattori fondamentali: il rischio vita, il rischio beni e il rischio ambiente.

Pertanto, dal punto di vista delle responsabilità l’attuale quadro normativo è decisamente più complesso e più problematico rispetto al precedente e si devono considerare anche aspetti che in passato non erano neanche presi in considerazione. Infatti, prima ci si focalizzava solamente sul rischio vita degli utenti della struttura, senza considerare gli altri aspetti che seppure potevano rappresentare un problema legale successivo non entravano nella valutazione generale del rischio di incendio di una determinata attività. Oggi, invece, tali aspetti spesso diventano preponderanti rispetto ad altri e chiaramente la loro valutazione è estremamente complessa e delicata, perché proprio sulla base di tale valutazione ne discenderanno una serie di indicazioni e prescrizioni che condizionano la sicurezza antincendio dell’attività presa in esame.

Complessità

In definitiva, il mondo della prevenzione incendi è diventato estremamente complesso a livello decisionale e male si sposa con le caratteristiche condominiali e, soprattutto, dello sfortunato amministratore che se ne deve fare carico quale responsabile dell’attività. C’è una frase che ho letto durante un seminario di formazione che mi ha colpito: «Nel condominio, è vero che i costi si dividono, ma non si deve dimenticare che i rischi si sommano». Il concetto è esattamente questo, con l’aggravante che l’amministratore può e deve gestire al meglio gli spazi comuni, ma che la vera prevenzione incendi in condominio passa dalla buona volontà e predisposizione dei condomini e, quindi, ai bravi amministratori, considerando che il legislatore non aiuta, resta l’ingrato compito di informare e per quanto possibile formare.

Ma per poterlo fare ci si deve formare e, quantomeno, essere in grado di capire quali siano i propri limiti e dove finiscono le proprie prestazioni professionali, per poter garantire la sicurezza di tutti sia in termini di vita che, come abbiamo visto, in termini di preservazione dei beni (ossia limitare il danno economico diretto o indiretto) ed evitare problemi di tipo ambientale (basti immaginare edifici in prossimità di parchi e boschi e semplicemente i danni indotti dai fumi che si sprigionano in un incendio per gli edifici limitrofi).

Pertanto, la conclusione è che per affrontare con cognizione di causa l’antincendio, oggi, nella compagine condominiale, l’unica strada percorribile è quella della formazione personale e di tantissima informazione di chi si amministra, per fare capire ai propri assistiti (i soliti condomini «scolaretti», quasi ignorati dalle norme) l’importanza di avvalersi di professionisti del settore e non fare ricadere sempre e comunque tutti i doveri (ma siamo sicuri tra l’altro che lo siano?) e tutte le responsabilità, sempre e comunque sull’amministratore che, peraltro, non è un superuomo capace di coprire tutti i rami della conoscenza, soprattutto in un campo altamente specializzato come quello dell’antincendio (basti pensare che esiste un elenco ministeriale di professionisti antincendio e questo vuole dire che già non tutti i tecnici lo siano).

Corrado Verniani 

Ingegnere, dopo la laurea al Politecnico di Bari ed il dottorato al Politecnico di Torino, ha preferito la libera professione. Nel mondo condominiale attualmente è membro del direttivo e del comitato scientifico dell’Unione Nazionale delle Camere Condominiali

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Autore: giusepperossi

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