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Appalti in condominio: l’effetto dirompente delle modifiche apportate in sede di conversione in legge all’art. 103 del DL Cura Italia

Avv. Pietro Maria Di Giovanni

In sede di conversione del DL Cura Italia, il Parlamento é intervenuto a modificare l’art. 103 introducendo il comma 2ter che innesta sulla originaria norma dedicata alla sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi  e agli  effetti degli atti amministrativi in scadenza, la proroga, nei contratti tra privati aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori edili di qualsiasi natura, di novanta giorni, dei termini di inizio e fine lavori. 

Lo Stato, quindi, interviene pesantemente a vincolare l’autonomia delle parti non soltanto per i contratti già in essere (in corso di validità al 31 gennaio 2020), ma per tutti i contratti che saranno stipulati fino al 31 luglio 2020.

Inoltre, con altra disposizione del tutto svincolata dalle precedenti e di dirompente portata economica, viene previsto che, in deroga a qualsiasia altra previsione contrattuale, il committente  debba provvedere al pagamento dei lavori eseguiti sino alla data di sospensione dei lavori.

Le citate disposizioni si sono confuse tra le tante modificazioni apportate al testo originario del decreto legge e pochi interpreti si sono accorti delle conseguenze che tali disposizioni comporteranno soprattutto in un ambito, quello condominiale, che non é stato per nulla considerato dal legislatore dell’emergenza.

Difficile poter ipotizzare come costituzionalmente legittimo l’intervento che ha disposto una così pesante limitazione dell’autonomia delle parti.

Considerato che il D.L. Cura Italia é entrato in vigore in data 17 marzo 2020, la proroga del termine di inizio lavori troverebbe applicazione soltanto per i contratti ai quali, a detta data, non é seguito l’avvio dell’attività e potrebbe anche essere letta come una “giustificazione” normativa all’impossibilità di svolgere l’attività a seguito del lockdown disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 marzo 2020.

Per quel che riguarda il lavori in corso di esecuzione dalla data di entrata in vigore della norma, certamente l’emergenza epidemiologica in atto potrebbe avere incidenza negativa sul rispetto del termine di fine dei lavori: ma sarebbe stata certamente meno “invasiva” una disposizione di sospensione di tale termine per tutto il periodo in cui, a seguito del lockdown, l’attività è stata interrotta. 

Non trova, invece, alcuna giustificazione l’introduzione della proroga del termine di fine lavori anche per i contratti da stipulare fino al 31 luglio 2020: in tal caso la compressione dell’autonomia negoziale delle parti é massima.

Pertanto, salvo censure di costituzionalità – che comunque difficilmente interverranno prima del 31 luglio quando la disposizione cesserà la sua efficacia – occorrerà fare attenzione nel fissare il termine di fine lavori: sarà meglio menzionare espressamente che detto termine é stato computato tenendo conto della proroga prevista dall’art. 103 DL Cura Italia (quindi il termine deve essere necessariamente maggiore di 90 giorni), onde evitare che l’appaltatore che non riesca a rispettare la scadenza pattuita possa avvalersi della proroga normativa senza che nulla il committente possa opporre.

Considerata la natura del D. L. Cura Italia, il cui impianto normativo é volto a fornire liquidità a cittadini ed imprese in un momento di grave crisi non solo sanitaria ma anche economica,  sembrerebbe più coerente ed armonica con detta finalità la previsione del pagamento dei compensi maturati dall’appaltatore in deroga alle previsioni contrattuali.

Il condizionale é, però d’obbligo: infatti con tale previsione lo Stato ha sì fornito liquidità alle imprese appaltatrici, ma lo ha fatto a carico dei committenti, stravolgendo il carico degli impegni economici che gli stessi  si erano assunti in fase contrattuale.

Si pensi a clausole contrattuali che prevedevano il saldo dell’opera a fine lavoro, ovvero all’esito di collaudo, ovvero a stati di avanzamento sottoposti ad approvazione della direzione lavori e non approvati perchè le opere realizzate non sono conformi.

Prevedendo il pagamento di tutti i lavori eseguiti sino alla data di sospensione dei lavori tutte queste clausole sono state private di efficacia, con il rischio che laddove le opere siano state mal eseguite, il committente non potrà neppure opporre alla richiesta di pagamento dell’appaltatore, l’eccezione di inadempimento.

Gli effetti di tale disposizione in ambito condominiale sono aggravati in considerazione del fatto che molti condomini, privati di risorse economiche per effetto del lockdown, hanno omesso o ritardato il pagamento degli oneri condominiali ordinari, pertanto é impensabile che facciano fronte spontaneamente a richieste di pagamenti straordinari.

Vero é che l’esecuzione di lavori straordinari in ambito condominiale non potrebbe avere inizio se non previa costituzione di un fondo speciale di importo pari ai lavori, ma é altrettanto vero che da un lato la prassi porta molti condomini a “dilatare” i versamenti programmati e dall’altra potrebbero ricorrere ipotesi contrattuali nelle quali l’appaltatore abbia accettato di eseguire i lavori anche se il fondo non é stato costituito oppure avere accettato che il pagamento venga effettuato con riparto da eseguirsi a fine lavori.

Si aggiunga che in ambito condominiale l’appalto é utilizzato non solo per i lavori straordinari, ma  anche per assicurare l’ordinaria manutenzione e la fornitura di servizi: si pensi alle pulizie o alle manutenzioni contrattualizzate degli impianti (ascensore o riscaldamento) in cui l’autonomia contrattuale é libera di fissare modalità di pagamento spesso svincolate dalla data di esecuzione della prestazione proprio per consentire al condominio il riparto della spesa e l’incasso dei contributi dei condomini. 

L’amministratore, quindi, potrebbe trovarsi tra l’impossibilità di convocare l’assemblea in via ordinaria – in assenza di un provvedimento normativo ad hoc che consenta di convocare l’assemblea per via telematica, superando le resistenze dei condomini –  per far approvare i riparti e procedere al recupero delle quote al fine di pagare l’appaltatore e quest’ultimo che, potendo reclamare l’ammontare dei lavori svolti, decida di procedere giudizialmente al recupero del proprio credito, con maggiori spese a carico della compagine condominiale.

 

  

 

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Autore: daniela zeba

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